mercoledì 30 gennaio 2013

la scatola e il pesce


C'era una volta una scatola. 

Ma una scatola speciale.

Succedeva, a volte, che la rabbia prendesse il posto del cervello e, in preda a delirio di onnipotenza, decidesse di essere il capo di tutti. 
Come quando un bambino si arrampica su una sedia e annuncia: 
"sono il capo del mondo!".
Allo stesso modo, la rabbia si arrampicava sul sorriso e urlava: 
"ora comando io!" 
E decideva che gesti fare e decideva come colorare le parole.

Ma la rabbia non aveva buon gusto, quindi di solito sceglieva colori davvero brutti. Tanto brutti che nessuno sapeva dargli un nome. 

Con quei colori addosso, le parole si trasformavano e si gonfiavano di una forza che non sapevano controllare e, a volte, riuscivano addirittura a ferire la pelle, anche quella del cuore. 
E questa non era proprio una cosa di cui vantarsi. 
Ma la rabbia, che non capisce niente, se ne vantava eccome!

Ed ecco perché la scatola esisteva.

Lei sapeva intrappolare la rabbia, ed era l'unica a saperlo fare.

Quando le persone sentivano che la rabbia stava per salire sulla sedia della ragione e spodestarla, afferravano di gran fretta la scatola, la aprivano e gridavano tutta, ma proprio tutta, la rabbia lì dentro.

La scatola si sigillava, subito dopo.

Così, le persone, invece di arrabbiarsi, potevano prendere per mano il buon umore e andare in un posto molto bello, come il mare ad esempio.

Una volta arrivati, aprivano la scatola e lasciavano libero il contenuto, perché tanto giungeva subito un pesce che apriva la bocca e si pappava tutta la rabbia, in un sol boccone.
E la rabbia non riusciva neanche a costruirsi una casetta accogliente dentro di lui, perché i pesci hanno la memoria più corta del loro sorriso e quindi proprio non fanno in tempo ad arrabbiarsi.

Allora le persone, guardando i pesci e il mare potevano darsi un bacio e far salire l'amore sul trono del capo e lasciare che spodestasse tutto il resto.

sabato 26 gennaio 2013

la matita magica


Sono sempre stata una piuttosto malinconica. 


Non una tristona modello non-rido-mai-ché-potrei-sentirmi-bene, no. 

Però mi perdo spesso fra le braccia della malinconia ed anche quando vorrei saltellare per la gioia, la perfida timidezza mi soffoca con la sua coperta di lana misto acrilico che pizzica in quel modo insopportabile.

Che poi chiamarla timidezza è riduttivo, perché davvero non saprei come chiamarlo questo non sentirmi mai abbastanza, nutrire sacro timore dell'opinione altrui, balbettare se qualcuno mi rivolge la parola anche solo per chiedermi "dov'è via rossi?".
Forse disadattata sociale rende bene.

Comunque sia, un sorriso accende i riflettori sul volto e a me, i riflettori, fanno venire il vomito compulsivo.

Quindi non sorrido facilmente, ecco. Questa è la verità. E me ne vergogno.

Questo ha prodotto come risultato un'esistenza costellata di frasi come:
"e sorridi un po'! Stai dritta con la schiena!" e tanti altri consigli amorevoli del genere.




Poi è nata lei, mia figlia.


E, no, non sto per dire che io di conseguenza sono diventata un allegro coniglio pasquale.
Il proprio essere non muta in un istante, per quanto possa essere l'istante più intenso della propria vita. E ciò è condanna e certezza allo stesso tempo.


Semplicemente ed incredibilmente lei è un sorriso. 

Sorride sempre, a chiunque. 
Ride con un suono che è quello di tutte le cose belle della vita.
E' felice in un modo così luminoso che ti viene da socchiudere gli occhi o da aprirli ancora di più, perché il mondo dev'essere davvero un bel posto se qualcuno è felice così.

E' il mio contrario portato all'eccesso.
E' la nota musicale che prende per mano la nota stonata e la trasforma in armonia.

E' ciò che ha portato mia madre a dire: "questa non è figlia tua!". 
Non so se rendo l'idea.


Ed ecco perché mi stupisce e mi emoziona vederla impugnare la matita del suo sorriso e disegnare la felicità ovunque. 
Anche su di me. Anche quando mi sembra di non ricordare come si sorride.





giovedì 24 gennaio 2013

dichiarazione d'amore


I libri sono il mio castello incantato. 
L'ho costruito con pazienza, per anni. 
E' rifugio, ma anche posizione privilegiata per vedere le cose.


E allora, quando mia figlia è nata, ho cominciato a leggere anche per lei, 
per iniziare le fondamenta del suo castello magico.
Ho ripreso in mano i libri per bambini, quelli grandi e coloratissimi, quelli che ho continuato a comprare anche una volta cresciuta, perché mi sarebbe sempre piaciuto viverci dentro, a uno di quei libri di favole.
Oggi ho incontrato la splendida iniziativa di MammaMoglieDonna e ho deciso che sarebbe stato un ottimo pretesto per scrivere, nero su bianco, la mia personale dichiarazione d'amore.


Ecco, quindi, le mie venti buone ragioni per regalare un libro ad un bambino:





1) per imparare che gli occhi non sono l'unico strumento che abbiamo a disposizione per vedere.


2) per proteggere la testa. Metaforicamente, ma anche no...




3) per scoprire che alcune persone sono riuscite a trovare la formula segreta dell'immortalità. E così, un bambino oggi può leggere anche ciò che è stato raccontato tanti anni fa. Grazie al libro, che ne ha custodito la voce.


4) perché, se si mettono insieme un po' di libri, si può costruire una casa. 
O un castello. E sarà il suo rifugio.


5) per scrivergli sopra una dedica, che potrà rileggere ogni volta che sentirà la tua mancanza. O che ritroverà dopo tanti anni, e lo farà sorridere.


6) perché molti libri raccontano storie d'amore e l'amore va diffuso con tutti i mezzi possibili. E poi, c'è sempre la possibilità che, diffondendo questo genere di letture soprattutto fra i bambini appartenenti al genere maschile, uno di loro diventi un principe azzurro.


7) perché un libro sviluppa tutti e cinque i sensi: potrà guardarlo, assaggiarlo, sentirne il profumo, accarezzarlo, ascoltare la musica delle pagine che scorrono. 


8) perché il lupo, quando ha la voce della mamma, non fa paura. 


9) perché un libro è il più grande generatore di immaginazione e l'immaginazione è più utile di quel che si crede. Anche solo per riuscire a "immaginare una vita diversa" e poi metterla in pratica quando, magari, il proprio presente rende insoddisfatti. 


10) perché in un libro capita, a volte, di trovare scritte esattamente le parole che avresti voluto saper dire, ma rimanevano aggrovigliate dentro. Ed ecco, allora, che un libro può darti voce.

11) perché un libro è strumento di conoscenza e la conoscenza sconfigge l'ignoranza e l'ignoranza è la causa principale dei soprusi.


12) per provare il sollievo di sapere che un libro è sempre lì, pronto per essere aperto, ogni volta che se ne sente il bisogno. 
A volte, magari, un libro si nasconde. Ma è solo perché quello non era il momento giusto per trovarlo. Quando il momento giusto arriverà, riapparirà! 


13) perché un libro, in realtà, è un portale per altri mondi o una chiave magica per comprendere meglio il nostro, di mondo.


14) per vedere lo sguardo che ha un bimbo mentre gli leggi un libro. 
Uno sguardo di meraviglia dentro cui vorresti abitare per sempre.


15) perché, mettendo insieme tanti libri, potrà raggiungere l'inafferrabile!



16) perché i libri per bambini hanno colori splendidi ed è bello credere che anche il mondo possa essere colorato così.


17) perché possa scoprire che il libro ha quei colori proprio perché è il mondo ad essere colorato così.


18) perché sono solo parole, ma sembrano una mano che accarezza.


19) perché sappia che un essere umano può creare anche cose meravigliose.


20) perché quando sei bambino e hai qualcuno che legge una favola per te, ti si accende una luce dentro. E le luci dentro servono sempre, nella vita.


21) perché fanno fare bei sogni. Mentre si dorme, ma anche da svegli.


22) perché prima di leggere un libro, nessuno crederebbe mai di poter provare tante emozioni davanti ad un pezzo di carta.


23) perché, un giorno, potrà lasciarlo su una panchina e fantasticare su chi lo troverà, cosa penserà, se sorriderà.


24) perché, un giorno, potrà regalare il suo libro preferito a qualcuno e sarà come regalare un pezzo di se stesso.





Ah, ok. Ho superato i venti (di passione). 
Non ci so proprio stare dentro i limiti, quando sono innamorata.


mercoledì 23 gennaio 2013

domande difficili


Mattina. 

Dopo aver trascorso quella che un pipistrello definirebbe con entusiasmo "una notte perfetta", decido di uscire a piedi per vedere se una bella sferzata di gelo riesce a portarsi via un po' di color ratto di fogna in decomposizione dalla mia faccia. 

Lungo il cammino, incontro una signora dall'aria gentile con pargolo al seguito.

Tale signora mi ferma e si lancia in una conversazione su asili e affini. 
Io perdo il filo del discorso e mi aggrappo al filo dell'immaginazione che su ali d'aquilone mi trascina in altri mondi, lontani e misteriosi.

Insomma, mi addormento. Buio totale, proprio.

Quando riemergo, mi accorgo che la signora mi sta guardando come chi ha appena fatto una domanda, ma non riceve segni vitali da troppo tempo per poterlo considerare "normale".

L'ansia mi aggroviglia lo stomaco e i pensieri. 
So che, dovendo scegliere fra dire "si" o "no", sceglierò con certezza l'opzione sbagliata. 

La mia bocca decide, senza conferire con il cervello, di pronunciare un imparziale: "boh!"


Silenzio.


"Boh nel senso che non sai come si chiama tua figlia?" 



E' seriamente necessario che mia figlia cominci a dormire la notte.



lunedì 21 gennaio 2013

Gemmaio


E' successo passando da lì, per caso.
Ho visto l'insegna del negozio e davanti, sulla vetrina, brillavano le decorazioni natalizie. Da sole, nel buio.

Ho pensato a quando, da piccola, chiedevo sempre a mia madre di posticipare il momento in cui avremmo smantellato tutti gli addobbi. 
E l'albero, in particolare. Perché l'albero diventava sempre un po' mio amico (ragazzina con problemi, io).

Mi metteva allegria credere che, mentre per tutti le feste erano già finite, per noi sarebbero continuate. Una festa straordinaria, che rimaneva viva mentre gli altri tornavano alla normalità.

Poi, crescendo, ho mantenuto questa abitudine. Foraggiata dalla pigrizia, a dir la verità. 

Ma oggi ho notato quelle decorazioni palpitare al buio. E sembravano così stonate e malinconiche. Come una donna appariscente che ride sguaiata e nessuno l'ascolta. 

Sono corsa a casa e ho tolto tutti gli addobbi. In fretta, pure.
 
Mentre toglievo il vestito della festa alla mia casa, ho pensato che Gennaio ha proprio un magro destino. 
Il destino di chi deve  suonare la campanella per annunciare che la ricreazione è finita.
Gennaio segna la conclusione di quel tempo limitato in cui ci si può permettere di non pensare, di immaginare che la vita sia sempre così: una lunga festa, persone che si abbracciano e una tavola imbandita. 
Gennaio ha il colore della quotidianità, dei doveri. 
A volte, Gennaio può sembrare troppo faticoso.

Per questo, ho deciso che da oggi in poi lo chiamerò Gemmaio. 
Perché voglio credere che Gemmaio racchiuda il segreto di una piccola gemma che se ne sta lì, nascosta sotto il freddo. 
Gemmaio la protegge e le regala il tempo per crescere. 
Poi, con l'arrivo del tepore sboccerà, certo. 
Ma solo grazie a Gemmaio sarà tanto forte da riuscire a nascere.
 
Mi piace pensare che chiunque possa trovare una piccola gemma, confusa fra le pieghe di un mese freddo e lento. 
E che, quel bocciolo di primavera, possa far spuntare un sorriso di straordinario anche a uno normale come Gemmaio.





sabato 19 gennaio 2013

delicati equilibri


Gli uomini hanno delle passioni.


Anche le donne, certo. Eppercarità, sarebbe grave il contrario.
Ma, a volte, le passioni che prendono il controllo di colui che appartiene al genere maschile, hanno la raffinata capacità di superare il confine dell'allegro hobby e passare al livello successivo: la per-niente-allegra ossessione.

Anche alle donne accade, certo. 


Ma una donna, quando sente di essersi avvicinata troppo alla perdita totale delle proprie facoltà mentali, è capace (quasi sempre) di ristabilire una giusta lista di priorità.

Ecco l'uomo, diciamo, fa più fatica.
Un esempio valido è lo sport (e con sport intendo "sto seduto sul divano e guardo gli altri correre").

Oppure  i temibili, mefistofelici videogiochi.

Posso assicurare con discreta certezza che l'uomo appassionato di videogiochi arriverà in breve tempo ad idolatrare i suddetti. 
E, presto o tardi, verrà  il giorno in cui lo troverai a guardare il suo strumento d'accesso ad un mondo virtuale, con lo stesso sguardo innamorato che tu pensavi appartenesse solo alla lontra in calore.

Non so se risulti abbastanza chiaro, ma la di Lui droga sono i videogiochi ed in particolare la play-station. (Potesse bruciare negli Inferi. La play-station, intendo.)

Sommiamo a questo il fatto che io appartengo alla categoria più temuta dall'uomo: quella che crede sia necessario dedicare un po' di tempo alla coppia.

Otterremo così la vera motivazione del lavoro a cui mi sto dedicando da tempo. 

Ovvero:

Lui arriva a casa dopo una lunga ed estenuante giornata lavorativa, mangia con le poche forze rimastegli e poi comincia il travaglio che porta alla sospirata nanna di nostra figlia.

Nel momento in cui chiudo trionfalmente la porta della camera che ospita i fanciulleschi sogni, inizia quello che per me è l'adorato "momento noi due".

Ma Lui è già collassato privo di sensi sul divano.

Questo, durante il 50% delle serate. Cosa succederà mai il restante 50%?

Il "momento noi due" avviene. 

Il problema è che non avviene con me. Avviene con la play-station.

Dopo aver inutilmente strepitato e battuto i piedi, ho optato per la comunicazione non violenta. 
Tale comunicazione consiste nel sedermi accanto a Lui, impegnata in qualcosa di palesemente noioso, ed emettere qualche rumoroso sospiro di tanto in tanto. Per mesi. Tutte le sere. (Pover'uomo, lo so.)

I risultati prodotti sembravano scarsi, ma ciò non mi ha mai fatto demordere.


Stasera, finalmente, uno spiraglio di luce. 

Al mio centocinquantunesimo sospiro circa, Lui si è voltato verso di me.

Illuminata da nuova speranza, l'ho guardato. Come si guarda un eroe.

Lui ha sorriso.

Io ho pregustato le sue dolci parole. 
Parole di comprensione. 
Parole di chi capisce all'improvviso quanto sia meglio un abbraccio, una carezza piuttosto che la fredda corazza di un essere inanimato.
Parole di chi, in un istante, vede chiaramente quanto tempo prezioso sta sprecando. 
E decide così di rimediare subito.





Lui ha detto: "E' meraviglioso aver trovato questo equilibrio fra noi, vero, amore?"





mercoledì 16 gennaio 2013

riesumato il corpo di Autostima


Credo di aver eliminato da tempo il concetto di autostima.
Ma proprio nel senso che ho commesso un omicidio, di quelli silenziosi e precisi, ma così precisi che non si riesce a scovare il colpevole.
Dopo aver buttato nelle fogne il cadavere dell'autostima, ho cancellato accuratamente ogni suo residuo anche dal mio vocabolario personale.
E così, ho dimenticato il fattaccio.

Fino ad oggi.

Oggi ho letto un post di Seavessi e il fantasma dell'autostima è venuto a solleticarmi i piedi.

Mi piacciono le iniziative che riescono a generare sorrisi soddisfatti. 
E, quindi, anche se autostima ed io non siamo proprio in  ottimi rapporti, voglio provarci. Voglio provare a sentirmi fiera di me stessa. 

Premetto che la vita della mia piccola si conta ancora in mesi e quindi la mia esperienza di mamma è veramente ridotta. Anche se questo non mi ha impedito di sentirmi sbagliata tante volte. Maaaa si parlava di autostima, appunto. 

Quindi, ehm...

sono una buona madre perché:

-Mi trasformo in una bimba di dieci mesi quando gioco con lei e ci divertiamo e inventiamo e rotoliamo insieme.

-Riesco ad avere una voce amorevole e comprensiva anche la notte, mentre la cullo per l'ennesima volta. E ci riesco addirittura fino alla dodicesima, undicesima, decima volta!

-Le preparo da mangiare con cura e dedizione anche se, chi ha avuto la sfortuna di assaggiare le mie prodezze culinarie, sa quanto io sia incapace e (nove volte su dieci) detesti stare ai fornelli.

-Quando mi ritrovo ricoperta di cacca o vomito, non la regalo al primo che passa.

-Idem quando strilla per due ore di fila (preferibilmente di notte).

-So come farla ridere anche quando piange.

-Tutti quelli che la incontrano per strada dicono: "sembra così felice!". 
E per me, questa, è una fitta di luce pura.



Si, lo so, sono solo sette. Ma mi sembra un buon inizio, no?
(Dai, autostima, facciamo pace!)


lunedì 14 gennaio 2013

una brava massaia, la vera storia.


Il prestigioso titolo di cui sono stata insignita, deve avermi ubriacata di delirio d'onnipotenza. Al punto di obnubilarmi il cervello. Non trovo altra spiegazione.

Oggi la bravamassaiacioèio, ha spavaldamente deciso di lavare le divise del suo amato compagno di vita.

Non si è fatta scoraggiare dall'ingiustificata riluttanza del suddetto:

"Sei sicura? Perché sono bianche e molto delicate. Posso portarle in lavanderia, davvero."

"Ma fiiiiiiiiiigurati se dobbiamo spendere dei soldi in lavanderia quando ci sono qua io!"

"Sei sicura? Perché sono nuove di pacca e soprattutto le uniche disponibili. Non me ne daranno altre, capisci?"

"Tranquillo, tesoro, le tue divise non potevano capitare in mani più abili ed esperte!"



Detto questo, la bravamassaiacioèio ha trascorso le successive due ore a prendersi cura delle divise.
Per quanto consapevole che la maggior parte delle persone ci avrebbe messo forse un quarto del tempo a lavare due miseri capi di abbigliamento, la bravamassaiacioèio non si è lasciata scoraggiare e ha pensato che un lavoro ben fatto valesse tutto il tempo speso.


Oggi, il dolce detentore del mio cuore ha tirato fuori dall'armadio le sue due divise piegate con amore.


Per motivi che alla bravamassaiacioèio sono tuttora sconosciuti, una divisa presenta delle chiazze blu su più del 90% della superficie.
Ma il meraviglioso padre di famiglia, dotato di uno spiccato self-control, non si è perso d'animo. E con voce fiduciosa ha esclamato:
"Non preoccuparti, amore, può capitare! E poi rimane comunque l'altra!"


L'altra arriva a malapena ai suoi avambracci.

sabato 12 gennaio 2013

dieci e lode


Sorridi, e il tuo sorriso fa sorgere il sole nella stanza.

Ridi -tanto, tantissimo- con quel suono che ha fatto dire a tua zia, quattordicenne, "mi fa stare bene".  

Saluti tutti e tutto, indistintamente. Chi ti guarda ma anche chi neanche ti vede, chi si ferma a parlarti ma anche la tazza del water, il gatto ma anche la briciola di pane. 
E mi ricordi che il contatto umano è dolce e semplice. E mi ricordi che sarebbe bello non perdere mai la genuinità del saluto.

Gattoni ai duecento all'ora e ti arrampichi ovunque, soprattutto dove il rischio di farti male è più alto. Ma non posso non incantarmi davanti alla tua fame di scoperta, davanti all'entusiasmo di chi vede tutto per la prima volta.

Sei testarda e terribile oltre ogni immaginazione, ma non oltre l'immaginazione di tuo padre, perché sei uguale a lui. E questo mi fa impallidire, perché so cosa mi aspetta.

Balli come se non ci fosse un domani, balli al primo accenno di musica, dalla lirica all'hard rock. 
E c'è qualcosa di incredibilmente poetico nel fatto che i cuccioli di essere umano imparino prima a ballare che a camminare.


Oggi hai dieci mesi ed io sto imparando a ballare di nuovo, con te.

venerdì 11 gennaio 2013

fame di baci


Tardo pomeriggio.

La piccola ed io siamo sul tappeto, impegnate in una serie di divertentissimi giochi, del tipo: togliamo tutta la terra dai vasi, facciamoci una doccia rigenerante con l'acqua del gatto, lecchiamo il pavimento per dimostrargli il nostro apprezzamento ed altre simpatiche attività affini. 

Ad un certo punto, lei comincia a fissarmi con una certa intensità.

Io ricambio lo sguardo, incuriosita. 

Con uno sforzo palesemente estremo, fa schioccare le sue labbra producendo un verso simile a quello di un pesce che sta agonizzando. 

Io mi illumino e salto in piedi. "Un bacio! era inequivocabilmente un bacio!" 

Lei, galvanizzata dalla mia reazione pacata, scoppia in fragorosa risata, prende coraggio e parte con una raffica di versi-pesce.

Io non posso contenere questa gioia immensa, quindi afferro il telefono: 
"Amore, lo so che sei a lavoro e non puoi parlare, ma la piccola ha cominciato a mandare i baci!!!sisisisi!!!Te lo giuro! Non smette più! Un bacio dietro l'altro! 
E' meraviglioso, non trovi?!?!"

Lei continua a ridere e baciare il vento, a ripetizione. 
Io continuo ad improvvisare danze estatiche che superano senza ritegno i delicati confini dell'imbarazzante. 

Improvvisamente, l'incanto si spezza. Lei scoppia in lacrime.
"Amore, ti devo lasciare...ha cominciato a piangere. Probabilmente si è offesa perché non sto ricambiando i suoi baci. Cucciola mia, non essere triste! Adesso mammina ti ricopre di baci"

La mia conseguente profusione d'affetto ha come unico risultato l'aumento esponenziale delle sue grida disperate.

La prendo in braccio, mentre nella mia mente si affollano riflessioni commosse sull'estrema sensibilità di mia figlia, che non ha retto alla delusione del suo gesto d'amore non corrisposto in tempi abbastanza brevi.

Trascorre circa un'ora, ma non riesco ad arginare il suo disappunto.

Decido, allora, di preparale la pappa (oh, voi disgraziati meccanismi auto-distruttivi che attribuite al cibo le migliori virtù consolatorie, vi sto applicando a mia figlia solo perché è un caso di estrema necessità, sappiatelo!)

La siedo sul seggiolone e annuncio: "è pronta la pappa!"

Lei mi osserva come si osservano le forme di intelligenza inferiori. 
Mi osserva come se, tutto d'un tratto, i suoi sforzi così chiari ed elementari avessero prodotto un risultato, ormai non sperato.

Sulla sua bocca nasce un sorriso a due denti e fa partire una sessione intensiva di versi-pesce indirizzati al piatto fumante.

E' talmente felice che afferra il cucchiaino, lo punta verso di me, e ripete i versi. Invasata.


I suoi versi non erano baci, ma richiesta di cibo. Neanche troppo velata, in realtà.


I suoi versi non erano la forma materiale del suo amore incondizionato nei miei confronti, ma fame. 

Sono una pessima madre.



mercoledì 9 gennaio 2013

Il colore del buio


Alcune giornate ti si incollano addosso ed è inutile tentare di liberarsi, perché la colla è di quelle che, anche se ti sfreghi le mani con la spugna abrasiva, non c'è modo di farla andare via.

In alcune giornate i pianti di mia figlia sembrano l'unico suono del mondo ed io mi sento sepolta viva dentro questa casa in cui sto troppo a lungo, troppo da sola.

In alcune giornate faccio fatica a vedere la luce fuori, ma soprattutto dentro di me, perché chiudo le tende e le imposte e pure le tapparelle che non ho. E soffoco con un po' di buio anche i buchini minuscoli. Quelli che magari, in un impeto di ribellione, fanno entrare di nascosto un coraggioso raggio di luminosità.

E allora, devo cercare di disegnarmela con le parole quella luce e creare una realtà dove non ci sia un mucchio di libri che mi aspetta chiedendomi ripetutamente:"dove sei finita?",
dove ho un lavoro o qualsiasi altra cosa che mi permetta di trascorrere almeno due ore fuori di qui. 
Una realtà dove non provo più la sensazione di essere ferma, immobile mentre la vita mi cammina accanto. 

Perché non è giusto che diventare madre significhi rimanere indietro. 

Eppure è questo che vedo nel mio contratto che "ti-rinnoveremo-al-cento-per-cento-perché-sei-davvero-indispensabile-per-noi" ma il giorno del rinnovo, come per magia, hanno spostato l'ordine dei fattori e il risultato eccome se è cambiato:
"Vuoi sapere perché la tua esperienza lavorativa termina qui? Sei incinta, baby. Serve un'altra motivazione?" 

E' questo che vedo negli occhi di amici che, effettivamente, non vedo quasi più e per incontrarli devo insistere io e chiamare io. Ripetutamente. 
E poi mi guardano come se fossi una rara e non interpretabile forma di vita(?), come se "mamma" e "ragazza" fossero due definizioni che non possono appartenere alla stessa persona. 
Mi guardano e non sanno di cosa parlare dopo avermi chiesto:"come va?" con il timore sacro che il mio vocabolario si sia ridotto a "pannolini, pappa, nanna".
Quindi è inutile chiedere altro. 
Quindi tacciono, come  si tace davanti a qualcuno che non conosciamo e un po' ci intimorisce. 

Vedo questo nelle parole di chi mi chiede: "ma quindi, stai a casa tutto il giorno a non far niente?"  
o di chi mi dedica frasi come"l'università non la finirai mai e un lavoro nelle tue condizioni è impossibile da trovare" scagliate come sentenze inappellabili.

E sembra che tu sia per forza condannata ad abbandonare tutto. A licenziare te stessa.

E no, non è giusto, perché una madre dovrebbe correre addirittura davanti agli altri, dovrebbe essere guardata con orgoglio e non come "oddio, quella è diventata madre, può dire addio alla sua vita." 
Una madre non dice addio alla vita, ma anzi la saluta con un sorriso splendente, e accanto al suo ce n'è anche uno tutto nuovo, sdentato. 
Una madre dovrebbe essere un vanto per la società e non essere messa in isolamento.  
E non si può considerare una madre della mia età una bambina che ha combinato un guaio. Perché c'è qualcosa di profondamente sbagliato in questo. 

Ma, forse, ogni cosa mi sembra così drastica e cupa solo perché ho chiuso tutte le finestre. 
Probabilmente, mi basterà aprirle e respirare un po' di luce e tutto sembrerà migliore.



lunedì 7 gennaio 2013

crisi identitaria


Stamattina, al supermercato, una signora mi ferma per fare i complimenti a mia figlia.


"Che bella questa bimba, è la tua sorellina?"

"No, veramente è mia figlia."

"Oddio, ma sei così giovane! Non sarai troppo giovane? Ma sei maggiorenne?"

"..."


Due ore dopo, entro in un panificio con mia mamma. 


Il fornaio, visibilmente fiero della sua arguzia: "Ma siete sorelle voi due?"

Mia madre, gongolando: "No, sono sua mamma!"

Il fornaio, rivolgendosi a ME: "Ah, scusa....ma quanti anni c'hai tu? No, perché dimostri quarant'anni....senza offesa, eh!"

"..."

una brava massaia


Al telefono con mia nonna.


"Cosa hai fatto, oggi, tesoro?"

"Ah, nonnina....ho pulito casa, ho fatto da mangiare alla piccina, giocato con lei, ho steso i panni, stirato, preparato una cenetta per Lui seguendo una ricetta che mi avevi consigliato tu...."

"Tesoro mio, stai diventando proprio una brava massaia!"

"....."



Ho meditato a lungo su quale fosse il modo migliore per perdere totalmente coscienza di me stessa.

Alla fine ho optato per un sano ingozzamento di cibo. 
Ipercalorico, possibilmente.

venerdì 4 gennaio 2013

Amore Eterno


Ha perso la testa per me quando avevo 12-13 anni.
Non mostrava turbamenti per la gabbia metallica che segregava i miei denti, 
né per le forme informi dell'adolescenza 
e nemmeno per la nuvola di vapore che sostituiva i capelli sulla mia testa. 
Anzi, tutto ciò mi rendeva perfetta a ricevere le sue attenzioni, come fossi stata disegnata apposta per meritare il suo amore. 
Da allora, non mi ha più lasciata, 
ma, anzi, l'attaccamento è proseguito con un ardore tale, da far risultare persino il principe delle favole un buffone con la piuma in testa.
La Sfiga è innamorata di me da tutto questo tempo e a nulla sono valsi i miei tentativi (quasi sempre falliti) di abbellimento, successo, emancipazione per farla desistere. 
Il suo abbraccio è continuo, fedele.
E ieri ha deciso di farmi un altro dono, l'ennesimo. Perché la generosità è una delle sue caratteristiche più collaudate.
Ieri era un raro e luminoso giorno segnato con un cerchio rosso sul calendario: mia madre si era proposta di tenere la piccola. 
E questo giorno coincideva esattamente con il giorno libero di Lui.
Mille progetti frullavano nelle nostre parole entusiaste, anelanti momenti di pace e libertà. Libertà come spazio vuoto in cui inserire senza limiti alla fantasia tutto ciò che ci sarebbe andato di fare.
Ieri mattina mi sono alzata, e stavo malissimo. Influenza. Pesante.
Ieri mattina Lui si è alzato e stava malissimo. Influenza. Pesante.
Abbiamo trascorso la giornata a passarci i fazzoletti, in stato semi-vegetativo.


giovedì 3 gennaio 2013

la notte ti fa giovane


La notte di Capodanno, 
mentre tenevo in mano un bicchiere di vino rosso, 
girando avanti e indietro per i 50 metri quadri di casa mia, 
vestita a festa, 
ho incontrato lo specchio appeso al muro dell'ingresso
e ho visto i miei 24 anni da poco compiuti tenere in braccio mia figlia, insonne, alle quattro del mattino. 
Mi sono girata per trovare conforto negli occhi di Lui che, venendo verso di me con un sorriso, ha sussurrato: "sembri quasi giovane, stanotte!".



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