mercoledì 1 maggio 2013

un vestito a cipolla




L'ho cercata a lungo.

Cercavo una parola, un istante o forse un'immagine di vita che potesse rendere nitidamente l'idea, che avesse le stesse sensazioni a disegnarle la pelle.

Ho cominciato a pensarci da quando le 50 sfumature di mamma mi hanno scritto per propormi questa iniziativa
Che mi è piaciuta subito.

Perché io me li ricordo quei primi mesi in cui la frase che rimbalzava nella mia testa e finiva fin dentro lo stomaco era:
"però non me l'aveva detto nessuno quanto fosse difficile." 

Ancora adesso, dopo quasi 14 mesi, mica è andato via del tutto quel pensiero. 

Perché è profondamente vero. 
Perché ti terrorizzano con i racconti del parto, magari anche dell'insonnia e delle poppate.

Ma della vita, quella reale, quella di quando incontri gli occhi di un altro essere umano che ha bisogno di te, quella no. 
Nessuno me l'aveva detto. 
Nessuno mi aveva parlato di un concetto tanto semplice e allo stesso tempo paralizzante come quello di quotidianità.

E' vero, c'è l'oggi, l'oggi in cui ti ho conosciuta, ti ho vista per la prima volta e il mondo mi sembra un posto perfetto, il posto giusto. 

Ma poi c'è anche domani. E dopodomani. E ancora.

E, no, non puoi chiedere una pausa. 
Anche se sei stanca, anche se il seno ti sanguina.

Proprio in quei giorni ti accorgi, forse per la prima volta, che la tua vita è cambiata. Di più, la tua vita non sarà mai più come prima. 

E non è un concetto facile da digerire, no. 
Per quanto sia meraviglioso il soggetto che mette in atto questo cambiamento. 

E' la quotidianità, appunto, che per prima ti fa assaggiare questo nuovo sapore di ineluttabilità. 
Poi, subito dopo, la solitudine. E questo, davvero, una non se l'aspetta.

Trascorri le giornate sempre a stretto contatto con un altro essere umano, come ci si può sentire soli? 
La solitudine è l'ultima cosa a cui si pensa. 
Ma è la prima ad avere la forza di spingerti le lacrime giù dagli occhi.

La solitudine, spesso, è soffocante come quelle giornate afose d'estate in cui sei chiusa in casa e il caldo è davvero opprimente. 
Ma le finestre non le apri, perché pensi che lascerebbero entrare solo altro calore.

La solitudine è quel momento in cui hai paura che non finirà mai.

E, invece, una mattina ti alzi e c'è il fresco a baciarti la fronte e ti volti e le finestre sono spalancate e fuori il cielo è terso e leggero.

Quando hai aperto le finestre? Quando hai scoperto che fuori non faceva poi così caldo? Nemmeno te lo ricordi.

Perché non esiste un momento preciso.

Quella finestra aperta è già in ogni momento di solitudine e pianti e speranza che scorre via insieme alle lacrime. 

Devi solo accorgertene. Nell'istante esatto in cui accade, già non ricordi più quanto caldo facesse. Quanto sudore ti appiccicasse capelli e pensieri.

Me ne sono resa conto non molto tempo fa, quando una ragazza conosciuta da poco, con una bimba piccola piccola e un sorriso grande, un giorno è crollata davanti a me quasi urlando la fatica, come se non l'avesse mai urlata a nessuno, nemmeno a se stessa. 
Vergognandosi di quella fatica.

Già. Perché a complicare il tutto c'è proprio la vergogna.

Come se uno dovesse vergognarsi di faticare nel far crescere, nutrire, amare, curare, pulire un bambino. 
In fondo, cosa vuoi che sia.

"Come fai tu?" -mi ha chiesto- "sembri riuscirci con facilità."

Ma chi, io? Io? 
Io che mi sono lamentata oltre il lamentabile e ancora lo faccio? 
Io che ho frignato più di mia figlia?

Allora mi sono accorta che le finestre dietro di me erano spalancate.
Allora mi sono accorta che i luoghi comuni sulla maternità non fanno altro che cementarci dentro la nostra solitudine e senso di inadeguatezza.

Allora le ho raccontato tutto, senza fare dell'inutile terrorismo, solo parlandole di me, della mia quotidianità, facendole capire che il mio solo vantaggio sono la manciata di mesi che mia figlia ha più della sua. 
Solo questo.

Mentre ritornavo a casa, dopo quell'incontro, per le strade ho trovato l'immagine che cercavo. 
Un'immagine che fosse simile alla maternità, o almeno all'inizio della maternità, perché per ora ho vissuto solo questo.

Erano i primi di Aprile. 
Giorni in cui, secondo il calendario, la primavera dovrebbe essere arrivata già da un po'. Ma il cielo continua a pensarla diversamente e a vestirsi di grigio.

Quel giorno, in particolare, era esattamente uno di quelli in cui, dopo tanto grigio, un timido sole tentava di perorare la sua causa a colpi di giallo.
Quelle giornate in cui ti affacci alla finestra e appena vedi l'ombra di giallo decidi che è arrivata l'estate, tiri fuori la canottiera più colorata dall'armadio e ti fiondi fuori.

Oppure non ti fidi affatto, perché lo sai già che il tempo è un essere infido e ingannevole e allora sotto il giubbotto metti anche un maglione. 
Giusto per stare sul sicuro. Per non farti prendere alla sprovvista.

Ed ecco che le strade assumono quell'aria un po' folle di persone vestite d'estate ed altre che sembrano pronte alla traversata della Siberia. 
Tutte insieme, una accanto all'altra. 

Ma l'unica cosa veramente certa è che, in un momento qualsiasi della giornata, chi è vestito d'inverno patirà il caldo e chi indossa una magliettina avrà un freddo bestiale. 

Proprio così sono i primi tempi da genitore: 
una giornata d'Aprile in cui spunta il sole dopo tanto freddo e pioggia. 
La città colorata di gente vestita nei modi più estremi.
Una pioggia improvvisa e tu hai la canottiera. 
40 gradi l'istante successivo e tu hai il maglione infeltrito. 

E questo, visto da fuori, fa sorridere. 
Perché tutti quei colori sono disorientanti, ma belli. 
Perché tutti, ad un certo punto, si sentiranno inadeguati. 
Ma durante la pioggia qualcuno sorriderà dentro il cappotto. 
E, accarezzato dal calore improvviso, qualcun altro guarderà soddisfatto la propria canottiera.

Infine, presto o tardi, capirai che la cosa migliore è vestirsi a cipolla.

La cosa migliore è sempre vestirsi a cipolla.
Forse per questo ci si ritrova, a volte inaspettatamente, con le lacrime agli occhi. (Ok, pessima battuta. Pessima.)

Così, capiterà che con addosso magliettina e magliettona ti volterai a guardare tuo figlio, in un giorno di pioggia in cui la nostalgia del sole comincia davvero a farsi insopportabile. 

E lo troverai con un costume da bagno in testa e gli occhi orgogliosi infilati dentro i tuoi.

E capirai che la tua estate è già lì, proprio accanto a te.






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