venerdì 10 ottobre 2014

Esercizi di autopersuasione



Perché, non lo sapevi che il punto in cui si comincia a vedere la meta è lo stesso  identico punto in cui la salita si fa più ripida?
Le gambe bruciano  per il tanto scalare, la temperatura è calata, le riserve quasi finite. 
E magari inizia pure una tormenta di neve. 

Non lo sapevi che questi mesi sarebbero stati i più duri, che non basta poterli finalmente contare sulle dita delle mani per tirare un sospiro di sollievo? 

Non lo sapevi che anche quando la stanchezza  sale sulla schiena e rimane così appiccicata addosso da entrare nelle ossa, tu non puoi permetterti di fermarti? 
Non adesso. 

Non sapevi che di ostacoli ce ne sarebbero stati ancora? 
E devi tenere ben fissi gli occhi sul sentiero se non vuoi sbatterci la faccia contro.
E ricorda come ti sei sentita l'ultima volta, quando hai trovato il modo di superare quel muro di aculei che non lasciava speranze di passaggio.
Ricorda quella luce che ti si era piantata nel cuore. 
Lo so che non ti aspettavi di trovarne un altro così presto, ma è successo.
E metterti seduta per terra con il viso premuto sulle ginocchia non aiuterà. 

Quindi, ti prego, alzati e prendi la mano a tua figlia che ti chiama in quel modo così tenero che disarma, che fa sembrare il mondo un posto comunque bello, il tuo posto. 
Perché c'è lei. 
E poi vai a lavorare mettendoci tutto il tuo impegno. 
E poi finisci questo pugno di esami che sono rimasti.
Sono così pochi. 

E vedrai che domani la tormenta di neve si sarà calmata. 
E magari una carezza di sole ti si infilerà negli occhi stanchi.

martedì 23 settembre 2014

città di mare


La gente di mare ha la pelle cotta dal sole e rughe che tracciano le rotte fino agli occhi, lì dove il mare si infila e rimane.
Come una tempesta che infuria e si placa solo quando torni a casa.

Le città di mare ti aspettano, ovunque tu vada. 
Tanto lo sanno che poi torni sempre. 

Le città di mare hanno un porto di barche grandi come la libertà, e il legno marcio dei pontili battuti dalle onde e dalle speranze. E dai pianti.

Ci sono strade così strette che devi trattenere il respiro, e poi il mare appare all'improvviso in fondo alla via e il respiro esplode nel petto e negli occhi.

Le città di mare hanno l'odore che si appoggia sui ricordi e non va più via, neanche se sfreghi bene con la schiuma della distanza, che inghiotte tutto. 
Ma non quell'odore.

Il mare è un amico bizzarro che si agita all'improvviso, ma poi sempre si spinge fino a riva ad accarezzarti la punta dei piedi per invitarti a ballare.

Nelle città di mare i racconti sono dentro ogni ciottolo che calpesti e tu cammini e ne trovi uno che sembra davvero parlare di te e pensi alla fortuna. 
Ma non è fortuna, è il destino.

Il destino vive in una città di mare, dovresti saperlo. 
E' lì che l'abbiamo incontrato la prima volta.

Voglio ascoltarla ancora la storia del vecchio marinaio che alla fine della sua vita era cieco. 
E l'avevano portato in una casa molto lontana dal mare e lo aiutavano a sedersi, ma lui diceva:
"così non riesco a vedere il mare, per favore, mettetemi rivolto verso di lui".

Perché gli occhi consumati dalla ruvidezza delle onde avevano ancora sete, avranno sempre sete. 

Ti stringo forte la mano perché questa è casa mia e tu sei con me. 
Tu che hai gli occhi come quelli di nostra figlia.
Che hai gli occhi come questo mare. 

lunedì 15 settembre 2014

istruzioni per fare una buona impressione


Due ore di esame sono tante da affrontare.

Come odio quell'ansia strisciante che al mattino si sveglia con me.
A pensarci bene, durante la notte è già lì. 
A prendersi le mie coperte ed appoggiare la testa di capelli ispidi sul mio cuscino.

Tanto le gambe devo costringerle lo stesso a raggiungere l'aula dove l'esame comincia ed è come le gare di nuoto quando l'odore del cloro ti attorciglia lo stomaco, ma solo finché il fischio di partenza non arriva.
Perché poi ti tuffi e la paura scivola via e l'acqua diventa una carezza.

Due ore di esame scritto sono tante, ma devo solo aspettare il fischio.
Girare il foglio.
Leggere le domande.
"Le so. Graziesignoregrazie". E il foglio diventa una carezza.

E' quello il momento, credo. 
Quello in cui vengo presa da una sorta di furor creativo.
Mi piacerebbe poter raccontare di quanto mi renda estremamente affascinante, ma la verità è che mi fa sembrare pazza.
Più pazza, intendo.

I capelli si arruffano, gli occhi sono spiritati, i fogli si accumulano e i vestiti si tingono d'inchiostro.

Dovrei portarmi il grembiule impermeabile di mia figlia. 
Quello che indossa mentre disegna e i colori scappano via, si infilano sotto i mobili e dentro il suo sorriso.

Quando il tempo a mia disposizione è finito, ho consegnato i fogli e mi sono avvicinata al professore.
Io quel professore lo amo con ammirazione e rispetto, come si ama chi sembra detenere il segreto del mondo.

E finalmente ho avuto il coraggio di chiedergli informazioni sulla tesi.
Perché voglio che il mio relatore sia lui e quindi ho truccato con molti strati di cerone la mia inadeguatezza 
per farla sembrare impeccabile sicurezza.
Per fargli una buona impressione. 
Per sembrargli una seria. O almeno sana di mente.

E pareva che funzionasse: non si distraeva, ma anzi sembrava quasi ipnotizzato dalle mie parole e sono riuscita a non perdere mai il contatto visivo. 

"Caspita che dialettica brillante sto sfoggiando. 
Non si stanno neanche manifestando sfoghi cutanei improvvisi. 
Sono fiera di me".

Alla fine del mio discorso, molto soddisfatta per l'attenzione che il professore mi aveva dedicato per quei dieci abbondantissimi minuti, sono andata in bagno a sciacquare via la stanchezza dalle mani e dal viso.

Mi sentivo così luminosa e scintillante. Quasi onnipotente, direi.

Ed è stato allora che ho visto.

Orrore. Raccapriccio. Paralisi.

"Specchio specchio delle mie brame ti prego dimmi che quella non sono io. 
Ti prego".

Quattro baffi di inchiostro blu fosforescente che a partire dalla fronte e passando da naso e guance arrivavano al mento.


Il professore non era colpito dalla mia dialettica.

domenica 7 settembre 2014

weekend con la psicopatica


Ci sono tre momenti che mi fanno raggiungere vette inesplorate di insopportabilità:

- periodo premestruale

- periodo pre-esame

- periodo di sonno notturno smarrito a causa di duenne turbolenta.


Bene.

In questi giorni si sta verificando un evento che l'umanità non è pronta ad affrontare: i tre periodi coincidono.

Tipo che dovrebbero costruirmi un recinto tutto intorno e dichiararmi specie protetta.

Nei rari momenti di lucidità mentale provo una fitta al cuore per chi è costretto a frequentarmi. 

Ieri sera, dopo una giornata lavorativa di dieci ore circa, Lui pensava di correre a casa per il meritato riposo ed invece il suolo di casa manco è riuscito a sfiorarlo, perché gli è arrivato un mio messaggio con la lista della spesa last minute. 
"Per un valido motivo" gli ho detto.
"Stasera preparo una cena dal sapore orientale come piace a te".

La lista conteneva elementi quali: 
un uovo di condor appena colto con il condor presente, 
due zucchine striate di verde chiaro tendente al giallo rafforzate da qualche improvviso intercalare di verde più intenso, 
una carota raccolta durante il tramonto di un giorno umido ma non troppo, 
riso proveniente direttamente da colture giapponesi vicine alla fattoria di quel tizio innamorato da anni della ragazza che ogni giorno vede al mercato del pesce, ma ancora non si è dichiarato. E così via.

Cose indispensabili e facilmente reperibili, mi sembrava.

E invece è tornato a casa e non c'era un ingrediente che corrispondesse a ciò che avevo tanto dettagliatamente chiesto.

Ho avuto una lievissima crisi isterica e la cena è anche venuta uno schifo.


Oggi, invece, ho dovuto studiare tutto il giorno e questo era il gruppo di supporto al mio studio:




Narcolettici per necessità, non per scelta. 



mercoledì 3 settembre 2014

la provvista per l'inverno


Il mare siamo riuscite a vederlo solo pochi giorni.
Ma non importa, sai. Ne vale comunque la pena.

Quando torni verso casa e senti la sabbia che scricchiola sotto i piedi e quell'odore di sale che brilla in mezzo ai capelli e pervade tutto, tutto.

Non so se esista un odore più buono, forse il tuo.

Anche solo per quel momento, ne vale la pena. 
Ne vale la pena sempre, con il mare.

Di tempo, alla fine, ne basta poco per respirare l'azzurro e incollarselo addosso.
Per essere proprio sicuri che aderisca bene, basterà fare una capriola colorata.
Ma questo lo sai già, me l'hai insegnato tu.








Al nostro rientro, io dovevo lavorare per una settimana dalla mattina alla sera.


(Vantaggi di un contratto a chiamata:

"Ehm, io ad Agosto non ho nessuno che riesca a stare con la bimba, non riesco a lavorare"

"Non c'è problema, però avrei bisogno che tu venissi in negozio per una settimana intera a Luglio."

E, alla fine, mi hanno anche richiamata per Settembre. 
Che mica era così scontato. )


E tu sei stata con la nonna. 
Era la prima volta che non ti vedevo per sei giorni di fila. 

La mattina mi alzavo, facevo colazione, andavo in negozio.
Una quotidianità di piccole cose, tranquille, senza fretta. 
Sembrava di essere balzati indietro nel tempo.
Non stavo male, eh. Anzi. 
Ero piena di una calma bella, che quasi stordisce. 

Eppure.
C'era un vuoto che si alzava con me e mi teneva per mano.
Un vuoto fatto di risate e occhi blu. Che in alcuni momenti mi faceva male alla pancia. 

Poi Agosto è arrivato, ed io non lo amo. Non molto, almeno.

Quando da ragazzina abitavo al mare, ad Agosto partivamo sempre per la montagna e, proprio durante quel mese, al mio gruppo di amici al mare accadevano le cose più straordinarie. 
Mirabolanti avventure, amori nati davanti ad un tramonto sicuramente più rosa, giallo e azzurro di qualsiasi altro tramonto di qualsiasi altro mese.
Ed io mi perdevo tutto.
Agosto era un tizio antipatico (sicuramente adolescente) che nascondeva il foglio con mani sporche d'inchiostro, per non farmi vedere.

Ma questo Agosto eravamo tu ed io, e credimi se ti dico che è stato bellissimo.

Di quella bellezza che ha solo il tempo quando non devi contarlo ed entra dalla finestra lasciata socchiusa, si arrampica in ogni angolo della stanza e diventa pane e marmellata di mirtilli, e giochi che nascono da una scatola di carta.
E diventa il compleanno di un pupazzo amato e vecchio come me 
da festeggiare con una serietà che mi fa sorridere.
E favole che ti portano via, e ricordatelo sempre di farti portare via, ogni tanto.
E diventa "mamma, mi fai le cocche?" mentre fuori piove un po', ma in fondo che importa. 






Tanto poi il sole torna e si infila in mezzo agli alberi e ai pensieri. 








Ogni anno acchiappo uno dei suoi raggi e me lo nascondo nelle tasche, come provvista per l'inverno. Che sarà lungo e faticoso.

Quest'anno il mio raggio è la tua voce che canticchia "vita bella, bella vita" che io ancora non ho capito da chi hai imparato a dirlo.

E' quella bolla di sapone che insegui correndo forte nel prato.

Sei tu.







giovedì 28 agosto 2014

ditevi sempre buonanotte


"Io ti accompagno però sappi che non ballo, non ci pensare nemmeno."
Lui l'ha messo subito in chiaro, però lo sai come sono fatta, io ci sono voluta andare lo stesso.

"Mi basta sentire la musica insieme a te" gli ho detto. 
E l'ho visto che un sorriso gli è scappato, anche se provava a trattenerlo.

E' così testardo che si è messo seduto con quel broncio soltanto suo.
Non che gli altri non abbiano mai il broncio, ma solo lui ce l'ha in quel modo lì.
Penso di amare anche quello. E' per questo che sono fregata.

Quando si avvicinavano a chiedergli perché non andassimo in mezzo alla pista, rispondeva che io non potevo, che la gamba mi faceva male. 
"Lei non può ballare, stasera" diceva senza il coraggio di guardarmi. 
Forse temeva di vedermi alzata in piedi a mostrare che le gambe malandate ce le hanno solo le bugie. 

Poi però è arrivata quella e gli ha strillato in un orecchio che un così bell'uomo non può stare seduto in disparte e l'ha afferrato per i polsi più velocemente del suo tentativo di resistenza. E del mio tentativo di incenerirla.

"Voglio ballare solo con te" mi ha detto.
Ed io un po' mi sono spaventata, perché non mi aspettavo che tornasse indietro subito.
"E la mia gamba?"
"Le gambe guariscono quando si balla insieme."

Ed è proprio vero, sai. Guarisce tutto quando si balla insieme."



Smette di parlare, perché le parole alcune cose non sanno proprio dirle.
Smette di parlare, ma io vorrei solo che non smettesse.

Mia nonna ha ottantatré anni. 
Ne aveva venti quando mio nonno l'ha incontrata per la prima volta e ha deciso che voleva incontrarla ogni giorno.

"Nonna, ti prego, dimmi il vostro segreto."

"Ditevi sempre buonanotte, tesoro. Anche quando siete arrabbiati e di parlare non avete voglia.
Non addormentarti senza avergli augurato buonanotte."



mercoledì 20 agosto 2014

sei anni


Che poi uno non se ne accorge di quel tempo che si infila ovunque, come il vento forte che entra dentro casa e canta, gonfio di vita. 

Anche il tempo fa così, lascia i suoi segni di musica sulla pelle e sui pensieri. 
E dentro lo stomaco, anche. 

Pezzi di tempo ovunque, come dopo la tempesta. 
Pezzi di tempo che non te ne eri accorto ma sono diventati pezzi di te, che un giorno ti guardi allo specchio e, santo cielo, sei sempre stato così? 
Sei cambiato, per fortuna. Sei rimasto te stesso, per fortuna.

Ed è come quando sei piccolo e segni le tacche sul muro, oggi la tacca è più alta di ieri e sorridi.

Voglio essere quel muro su cui segnare quanto cielo vuoi raggiungere. 
Quanto ne hai già raggiunto. 

Voglio togliere i pezzi di tempo impigliati fra i tuoi capelli e mostrarteli.

Vedi come brillano?

Come il tempo che è il nostro tempo di ricordi ma anche, sempre, di progetti.

Come il vento dentro la casa quando la casa è il posto più sicuro al mondo. 
Perché dentro ci siamo noi.

Come le nostre mani che si trovano, anche quando fa freddo e stanno nascoste nelle tasche.
Come le nostre mani che sono piene di tempo e di vento e di casa. 
Piene di Amore.



martedì 12 agosto 2014

dimmi che capelli hai e ti dirò chi sei

Da bambina mia mamma mi tagliava i capelli corti e io non volevo.
"Li voglio lunghi lunghi, mamma. Come le principesse."
Ma a mia mamma le principesse non stavano tanto simpatiche e mi ripeteva che la praticità è la sorella intelligente della vanità. 
Mia mamma è così bella. 
Solo che la vita le ha tagliato i capelli da principessa e le ha detto di essere cavaliere senza macchia e senza paura. 

Fatto sta che io odiavo i capelli corti, ancora di più durante l'adolescenza. Quando i miei boccoli sono diventati un groviglio crespo.
"Ciao, cespuglio!" 
  
Mi ero fatta una promessa solenne, i capelli mi sarebbero arrivati fino a terra. 

Così è stato, infatti. 
Magari non fino a terra, ma i capelli lunghi sono diventati i Miei capelli lunghi.
"Ah, sì. Lei. Quella con i capelli lunghi." 




"Tagliali corti. Tagliali tutti, per favore."

Non so perché, davvero. Forse sono impazzita. Definitivamente, intendo.
Forse un agguato della mia mancanza di autostima che ha voluto rafforzarsi ancora.
Forse volevo rivedere la Me tredicenne, magari riesco a farci pace.

Volevo guardare la pesantezza mentre cade per terra, lontana da me. 
Volevo guardare come è semplice, in fondo.  

Volevo travestirmi da cavaliere senza macchia e senza paura. 
Chissà se funziona. 

domenica 10 agosto 2014

Peter

Va bene. 
Io di sicuro con Peter ho dei trascorsi.
Se sento parlare di lui, ancora le gambe mi diventano budino. 
Al caramello con cuore di cioccolata, più precisamente.

Ho incontrato per la prima volta la sua storia, raccontata da James M. Barrie, a nove anni. Forse anche meno.
E mi sono innamorata. 
Di uno che, per sua natura, non sa amare. Ovvio. Story of my life.

Ma io lo sapevo che un giorno sarebbe venuto a prendermi. Lo sapevo con una certezza quasi scientifica. 
Tanto che la finestra, quella piccola con le imposte di legno verde, non rimaneva chiusa nemmeno per una notte. 
E questo ancora oggi per molto tempo.

Ragazzina un tantinello squilibrata? Sicuramente.

Ed ecco perché imbattermi in questo video è stato IL MALE.







Dico solo che Wendy, in confronto a me, ha avuto una reazione pacata.

Ho pianto come se Peter Pan fosse stato davanti a me e mi avesse chiesto di seguirlo sull'isola. 
Ho fatto vedere questo video a tutti quelli che conosco e, ogni volta, mi partono i brividi dalla pancia. 
Penso che non accetterò mai una proposta di matrimonio diversa da questa.

E mi chiedo perché l'amore non possa essere così tutti i giorni. 

Dicono che ci si annoierebbe, a lungo andare. Che si perderebbe il senso della straordinarietà, perché lentamente comincerebbe a vestirsi come l'ordinarietà.
E, a quel punto, chi le distinguerebbe più?
Ma io non credo che questo varrebbe per me. Davvero. 
Non mi stancherei mai, io.

E poi, chi lo dice che straordinario e quotidiano siano incompatibili?
Magari se si incontrassero dentro ad ogni giorno, se solo si conoscessero meglio, finirebbero per innamorarsi perdutamente l'uno dell'altro.


giovedì 7 agosto 2014

la faccia della medaglia

Lui é un nostro amico.
L'età esatta non la so. Non ricordo, non ha importanza.
Il viso è giovane, questo lo so.

Quanta vita ti è passata sulla pelle? Ancora poca, o forse  la barba nasconde bene.

Lui è ciò che tutti, almeno per un istante, abbiamo desiderato essere.
Chi più e chi meno, certo.
Ma non c'è stato banco di scuola che non abbia sentito, almeno una volta, quel pensiero di rivoluzionaria libertà posarsi fra le pieghe del suo legno consunto.

Lui  ha messo lo stesso vestito ai suoi sogni, alla sua vita e al suo lavoro.
E viaggia. Viaggia da una parte all'altra del mondo.
Viaggia così tanto che i suoi occhi non sono abbastanza per accogliere tutto quel mondo e allora usa una macchina fotografica.
E proprio quella macchina fotografica è sogno, vita e lavoro insieme.

Lui non conosce la fatica di stare sotto a un capo.
Le pareti del suo ufficio sono di cielo.
Le settimane di vacanza non hanno un numero prestabilito.
Non conosce la frustrazione di orari a scandire le giornate.

Lui è una sorgente d'eterna giovinezza da cui attingiamo a piene mani ogni volta che, come ieri sera, viene a trovarci e ascoltiamo incantati  i suoi racconti e divoriamo le sue foto, come se potessimo sentire fin dentro lo stomaco il sapore di quella vita.
Così diversa dalla nostra.

Ma c'è anche un'altra faccia, come tutti i medaglioni d'esistenza che ci portiamo al collo.
Ed è quella dei legami. Che non ci sono.
O forse, per ora, non ci possono essere in quella che, vista da altra angolatura, é una fuga continua.
Un'ansia di partire che taglia le radici .
Un sorriso incontrato in India, un occhio in Cina.
Quei capelli In Perù.
Pezzi, che non trovano unione. Che non diventano il porto sicuro a cui tornare.

Allora mi sono chiesta se anche noi per lui non fossimo una fonte segreta con cui dissetare una parte di sé sempre assetata.

Me lo sono chiesta mentre ascoltava i nostri racconti di quotidianità e rideva di quella risata che avvolge tutto e ti ritorna dentro, arricchita.
Me lo sono chiesta mentre abbracciava mia figlia stringendola un attimo di più, un attimo ancora.

Me lo stavo chiedendo quando, durante la cena, con un entusiasmo riservato ai grandi eventi della vita, la piccola di casa gli ha tirato con vigore una manica urlando:
"guadda guadda! fatto tutta cacca!!"
Mentre gli sventolava sotto il naso un vasino pieno di orgoglio e non solo.

Ogni mia domanda è impallidita.
Ma niente in confronto al pallore tendente al verde militare assunto dal viso del nostro amico.



venerdì 1 agosto 2014

Sirene incantatrici

Ciao, qual è il tuo talento?
Farmi irretire dalle sirene della nullafacenza.
Brava, complimenti.

Una mattina libera. Capisci che non ti accadrà mai più, sì?

Dovevi approfittare di questa occasione in via d'estinzione e abbuffarti di pagine di carta, fragranti e profumate.

Avere, per una volta, la possibilità di  studiare ad un orario diverso da mezzanotte è quasi un regalo, di quelli preziosi.

E infatti mi sono seduta e ho aperto il libro.
Ma poi ho incontrato il concetto di Bildung e volevo approfondirlo, allora ho fatto una ricerca e dopo quella un'altra ancora.
Come Alice nel Paese delle Ricerche Infinite, mi sono ritrovata a inseguire parole nuove che ho scritto sul motore di ricerca e fra i risultati che sono usciti, non so come, c'era qualcosa che mi ha ricordato te.

Ciao, mio spazio.
Sei ancora qui, anche se ti avevo detto di non avere tempo per te.
Anche se sono caduta nelle pozzanghere dell'incostanza. Quelle che sporcano di fango il vestito nuovo, proprio il più bello.
Anche se le cose da fare sono troppe e allora i pezzi si sparpagliano e poi non li trovi più.

Come sono disordinata, me lo dicono sempre tutti.

Ma quanto mi mancava questo posto. Dove posso disseminare le cose ovunque, ma non perdo niente.
Dove le parole mi escono dalle dita e si appiccicano qui, e mi aspettano.
E mi ricordano quante cose sono cambiate.
E quanto, in fondo, non è cambiato nulla.

Ciao, mio spazio.




Lettori fissi