lunedì 4 febbraio 2013
il piccolo giubbotto
Ci sono momenti in cui il bisogno di fuggire diventa impellente.
Quando si comincia a parlare con la lavatrice, il lavandino e la finestra di casa propria, è uno di quei momenti.
Sono andata a rifugiarmi nella carezza dell'infanzia, dell'amore che ha mani antiche e conosciute.
Avevo bisogno di sentire il profumo della torta di mia nonna, delle pareti verdi nella casa di mio zio.
Uno zio che è sempre stato incapace di parlare le emozioni.
Anche se dentro un suo abbraccio si trovano tutte le parole che non sa dire, la sua apparente freddezza è ciò che per prima lo caratterizza.
Uno zio che non ha mai avuto figli e nessuno conosce il vero motivo.
Perché lui preferisce far entrare le parole in fila ordinata nella gabbia del silenzio, dentro di sé.
E poi nascondere le chiavi. Senza buttarle, però. Che magari, un giorno, qualcuno le ritrova.
Lo stesso zio che, una sera, è tornato a casa ed io gli sono corsa incontro per salutarlo e cercare il suo abbraccio segreto.
Ma l'ho trovato fermo, all'ingresso.
Ho seguito i suoi occhi che fissavano l'attaccapanni vestito solo del piccolo giubbotto di mia figlia, posato lì senza pensarci, perché quello era il suo posto, semplicemente.
"Tutto bene, zio?" Ho domandato.
"Tutto bene. Solo che entrare in questa casa e vedere quel giubbotto così piccolo mi ha emozionato."
Ed io l'ho riconosciuto mentre sorrideva, mentre le parole questa volta sembravano così semplici e nascevano dalle sue labbra come se l'avessero sempre fatto.
Come se avesse trovato l'abito giusto per le emozioni e allora quello era il momento di farle uscire, tanto non avrebbero preso freddo.
Ho guardato quel giubbotto che io vedo sempre o forse non avevo visto mai e mi è sembrato una canzone. Di quelle belle e struggenti che danno l'impressione di essere scritte apposta per te.
Quando sono uscita da lì una macchina si è fermata accanto alla nostra, al semaforo, e dentro c'era la giovinezza senza pensieri.
Aveva un cappello rosso e la musica in bocca.
Ad occhi chiusi ballava sulle note della sua indipendenza appena conquistata.
Ed io ho visto la mia faccia un po' stanca voltarsi verso mia figlia seduta sul seggiolino, accanto a me.
E tutto mi è sembrato al posto giusto, come quel piccolo giubbotto.
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Non credo che questo sia fuggire...assomiglia molto di più ad un ritornare...ed e' bellissimo. :-))
RispondiEliminaDopotutto, ogni ritorno comincia con una fuga;-)
EliminaProbabilmente tuo zio è una di quelle persone con grande pudore delle proprie emozioni: le prova ma le chiude in sé, come dici anche tu. Così per tanti oggetti che tocchiamo o cose che facciamo tutti i giorni, apparentemente senza importanza. Chissà, forse tuo zio ha una casa troppo grande, o forse troppo silenziosa.
RispondiEliminaE sa bene che quello non è un giubbotto qualsiasi. Accoglie il corpicino d'una poesia (per me questo sono i bambini, anche se urlano e non fanno dormire) nata da quel canto d'amore che è la mamma. Dev'essere bello sentire in sé quel calore che, anche senza bisogno di parole, invade le persone vicine. La piccola diventa un incanto di dolcezza, perché tu sei un incanto di vita che sta volando, mamma, proprio come un pettirosso.
L'emozione ha un raro potere: nasce da qualsiasi terreno. Anche quello più inaspettato.
EliminaChe dolce tuo zio. Chi apparentemente è schivo può invece racchiudere una grandissima sensibilità. Un poetico, sentimentale e tenero post, Marelibera. Ti abbraccio e ti auguro un buon inizio settimana
RispondiEliminaEd io lo auguro a te...che sia una settimana piena di risate come quelle che regali tu con le tue parole! Ti abbraccio
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